di Sebastiano Arcoraci
I lavoratori italiani in futuro potrebbero essere pagati con salari simili ai Cinesi o ai cittadini dei Balcani o della ex Jugoslavia.
Tutto ciò emerge dagli ultimi dati del Censis che evidenzia come dal 2000 ad oggi, in venti anni, i salari dei lavoratori italiani son cresciuti solo del misero 3% a fronte dei dati molto più performanti di altri lavoratori dei Paesi U.E. come la Francia, l’Inghilterra o la Germania dove mediamente sono cresciuti del 20%.
È del tutto evidente, dunque, che oltre al ridimensionamento negli anni dei diritti dei lavoratori nelle aziende, sempre più gestite con logiche padronali, sommato alla forte precarietà del lavoro dell’ ultimo decennio, si conclama oggi, grazie al Censis, come gli stipendi siano di fatto rimasti pressoché uguali a venti anni fa.
Se a ciò si aggiunge un progressivo venire meno dei diritti dei lavoratori, ed un minor potere di acquisto da parte dei lavoratori italiani, a fronte di notevoli aumenti dei servizi cui i lavoratori accedono normalmente (es., servizi a rete quali il gas, la luce, l’acqua, i servizi telefonici, i rifiuti, le prestazioni mediche ed assistenziali o specialistiche) la situazione appare in tutta evidenza molto penalizzante per il lavoro Italiano.
Questo depauperamento salariale, oltre tutto, comporta due conseguenze: da un lato una minore domanda interna (la gente non ha nemmeno i soldi per curarsi) e dei consumi (abbigliamento, servizi turistici etc.) e dall’altro un maggiore indebitamento delle famiglie che per riuscire comunque a far fronte alle aumentate e nuove necessità, è costretta rivolgersi alle banche che continuano ad arricchirsi applicando oggi tassi sui prestiti mediamente dell’ 8%, o addirittura alle Finanziarie, che continuano a proliferare come funghi e che a fronte minor garanzie richieste al debitore , non disdegnano di applicare tassi ancora più alti e fino al 12%.Se lo scenario fosse questo e probabilmente lo sarà davvero, il ns Paese scenderà ancora nella classifica dei Paesi più industrializzati ed a maggior PIL con la conseguenza di un impoverimento della classe sociale più debole e persino della classe media oggi sempre più vicina a quella di primo livello.
Evidentemente le Confederazioni Sindacali ed in particolare la triplice CGIL, CISL e Uil, negli anni, ha dimenticato, con una certa colpevole complicità, nei tavoli di concertazione con le parti datoriali e col Governo, di battersi per salari più dignitosi corrispondenti ai lavoratori degli altri Paesi U.E.
Ora è tardi per cambiare le cose e recuperare venti anni di mancato sviluppo degli stipendi? Direi di no, a condizione che finisca l’era del consociativismo e cominci una fase di rinegoziazione dei diritti del lavoro oggi sempre più relegato a soggetto marginale del Paese.
È del tutto evidente, invece, che va ridata dignità al fattore lavoro, unico elemento che può rilanciare le sorti anche dell’economia di un Paese che ama ancora a definirsi civile.
Le parti datoriali scommettano su questa nuova fase, lavorando di intesa coi lavoratori, consapevoli che solo una maggiore produttività, accompagnata ad un processo di innovazione tecnologica, può portare maggiore ricchezza a loro, al Paese ed a tutti i lavoratori.