Il lavoro che cambia e le nuove povertà. Cosa attende i lavoratori oltre il Covid-19? A tracciare un quadro dell’evoluzione in atto è il Rapporto Ugl-Censis presentato in occasione del Primo Maggio per la Festa del Lavoro. Sono 1,5 milioni i lavoratori poveri: in dieci anni +84% e +690mila in termini assoluti. Un vero e proprio boom di nuova povertà da retribuzioni insufficienti.
In particolare, nel decennio sono triplicati i lavoratori in proprio poveri: +230% per il mondo di partite Iva a basso potere contrattuale. Nel 2019-2020 gli occupati poveri segnano +269mila unità (+22%). Tra i lavoratori in proprio i poveri sono aumentati del 48% e tra gli operai del 22%. Il lavoro ancora più svalorizzato, ecco la pesante eredità di un anno di pandemia, che lo ha reso anche meno sicuro, visto che il 65,2% dei lavoratori si è sentito perseguitato dalla paura di finire in gravi difficoltà economiche. Un sentimento più forte nelle aziende tra 10 e 49 dipendenti (74%).
Tra l’Italia pre Covid-19 e quella post Covid-19 (febbraio 2020 e febbraio 2021) si sono registrati – 945 mila occupati (-4,1%). Un duro colpo che accomuna i lavoratori dipendenti, con 590mila occupati in meno (-3,3%) e quelli autonomi, con -355mila occupati (-6,8%). Un dato che taglia il mondo del lavoro trasversalmente alle condizioni sociali ed economiche, con il 65,7% dei lavoratori impauriti o in ansia e, comunque, preoccupati per il proprio futuro. Dal rapporto Ugl-Censis emerge anche che gli italiani sono pronti a premiare le aziende che operano con trasparenza e che rispettano i diritti dei lavoratori: l’83,8% degli italiani (l’87,4% tra i giovani) è disposto a pagare qualcosa in più per i prodotti equo sociali, fatti senza sfruttamento delle persone o ricorso a lavoro minorile.
Vi è poi la convinzione che in questa fase occorra potenziare imprese ed economie locali italiane: l’83,6% dei consumatori è pronto a spendere di più per avere prodotti e servizi italiani, dalle materie prime alla distribuzione. Un dato che resta trasversalmente alto nei territori e gruppi sociali, con punte dell’87,3% tra i laureati. La dignità del lavoro, insomma, è per gli italiani un valore costitutivo dell’etica collettiva, che prevale sull’aspetto prettamente economico.